Daniele Ciprì è regista, sceneggiatore, direttore della fotografia e montatore. Si fa conoscere alla fine degli anni '80 per i suoi lavori alla regia in coppia con Franco Maresco nel duo Ciprì e Maresco, nella serie di Sketch di Cinico TV in onda su Rai 3 e in diversi film. Tra il '95 e il '98 è regista di film quali Lo zio di Brooklyn e Totò visse due volte. E' autore di colonne sonore e, nel 2002, debutta a teatro con Palermo può attendere, mentre nel 2005 ha scritto e diretto lo spettacolo teatrale Viva Palermo Viva Santa Rosalia con Franco Scaldati e Mimmo Cuticchio. Come direttore della fotografia ha lavorato con Renato De Maria, Marco Bellocchio e Roberta Torre. Nel 2009 vince il premio della fotografia per Vincere al Chicago International Film Festival. Con E' stato il figlio, nel 2012, si è aggiudicato il Premio Osella per il miglior contributo tecnico alla 69ª Mostra internazionale del cinema di Venezia. Nel 2013 ha vinto il Nastro d'Argento come regista. Nel 2014 dirige La Buca, uscito a settembre, con Rocco Papaleo, Sergio Castellitto e Valeria Bruni Tedeschi. Di comicità raffinata è fatta la storia di Armando (Papaleo), un poveraccio appena uscito di galera dopo avere ingiustamente scontato ventisette anni di carcere, e Oscar (Castellitto), avvocato farabutto che si attacca a qualunque pretesto pur di muover cause assurde e racimolare di che vivere. Sarà un cagnolino, così, per caso, a farli incontrare.
Filmica
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Da Cinico TV a La buca - Daniele Ciprì
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Le cose belle di Agostino Ferrente
Le cose belle è un documentario visto in sala per la prima volta due anni fa alle Giornate degli Autori a Venezia, rimontato per l’uscita al cinema quest'anno. La fatica e la bellezza di crescere al sud in un film dal vero che narra tredici anni di vita. Quella di Adele, Enzo, Fabio e Silvana, raccontati in due momenti fondamentali delle loro esistenze: la prima giovinezza nella Napoli piena di speranza, quella del 1999, e l'inizio dell'età adulta in quella paralizzata di oggi. Un’opera aperta che segue le vite di quattro ragazzi: nel 2000 Ferrente e Piperno girarono per Rai Tre un documentario intitolato Intervista a mia madre per il quale, dopo un casting forsennato, scelsero come protagonisti i quattro preadolescenti di dodici/quattordici anni anni. L’intenzione era di raccontare un contesto familiare difficile, povero ma normale. Enzo dodicenne canta pezzi del repertorio napoletano classico, accompagnando il padre nei ristoranti. Silvana, Adele e Fabio sono dei ragazzini disinvolti che sembrano potersi mangiare il mondo solo con l’energia inesauribile che hanno addosso. Allora i registi, Agostino Ferrente e Giovanni Piperno, incontrarono quattro sguardi diversi, ma radiosi, di quell’identica luce speciale che permette agli adolescenti di sognare le cose belle. Una dozzina di anni dopo ritornano a Napoli, riconquistano la fiducia dei quattro, e raccontano che vita fanno ora. Oggi l’auto-ironia ha ceduto il posto al realismo, e alle cose belle i quattro protagonisti non credono più. Forse hanno imparato a non cercarle nel futuro o nel passato, ma nell’incerto vivere della loro giornata, nella lotta per un’esistenza, o sarebbe meglio dire, resistenza, difficile ma dignitosa: spesso nuotando controcorrente, talvolta lasciandosi trasportare.
Agostino Ferrente
Dopo aver ricevuto numerosi premi con i cortometraggi d’esordio, dirige con Giovanni Piperno Intervista a mia madre (1999) e Il film di Mario (1999-2001). Nel 2006 realizza L’Orchestra di Piazza Vittorio, selezionato e premiato in numerosi festival. Dirige video musicali, tra cui uno con protagonista Margherita Hack. Sta curando la super visione artistica di un documentario realizzato da 5 detenuti della Casa circondariale di Terni. È corso di lavorazione il documentario Film a pedali, video-diario del progetto dei Tetes de Bois Palco a pedali. Sta scrivendo la sceneggiatura cinematografica ispirata al libro di Paolo Facchinetti Gli anni ruggenti di Alfonsina Strada- Il romanzo dell'unica donna che ha corso il Giro d'Italia. Sta scrivendo con Ugo Chiti e Gianfranco Anzini la sceneggiatura della sua opera prima di finzione. -
Rita Hayworth
La dea dell’amore, l’atomica, Gilda. Il sogno proibito di molti, la risposta vitale alla seconda guerra mondiale. Rita Hayworth è forse la bellezza dello star-system hollywoodiano che più ha fatto epoca e clamore. Una sterminata filmografia, più di sessanta titoli, anche se pochi sono folgoranti come Sangue e Arena, La signora di Shanghai, Gilda. Cinque mariti, tra cui il genio Orson Welles e l’“imam” Ali Khan, e molti grandi partner sul set, da James Cagney a Fred Astaire e Gene Kelly, da Tyrone Power a Frank Sinatra, da Robert Mitchum al compagno di molti film e amico Glenn Ford.
Un mito costruito dalla Mecca del Cinema di quegli anni per mano di sapienti produttori – come l’amico/nemico Harry Cohn della Columbia Pictures – e di abili registi: Charles Vidor, Rouben Mamoulian, Howard Hawks, William Dieterle, Henry Hathaway, Raul Walsh e, ovviamente, Welles.
Ma una vita disgraziata, disperata. Dopo un duro e lungo lavoro per raggiungere il successo, prima come ballerina, negli spettacoli e nella scuola di flamenco della sua famiglia, i Dancing Cansinos, e poi come attrice.
Una diva che non ha mai ottenuto quello che ha sempre desiderato e inseguito più di ogni altra cosa: la felicità familiare.«Imparava i passi più rapidamente di chiunque abbia conosciuto. Una volta, prima di pranzo, le mostrai un passo, e subito dopo pranzo lo eseguì alla perfezione. Probabilmente lo aveva ripassato mentalmente durante il pasto»
Fred Astaire